KICO ARGUELLO
(Francesco Josè Gomez Arguello)
Intervista al
Fondatore del Cammino Neocatecumenale
da Alberto Chiara in Famiglia Cristiana-.anno
LXXXIII-N° 6
10.II.2013
Parla come dipinge.
Distilla vocaboli e silenzi con la stessa
studiata cura che usa nello scegliere i
soggetti, i colori, le ombre e la luce dei suoi
quadri. Francisco José Gómez Arguello. ma a
tutti noto semplicemente come Kiko, racconta sé
stesso e il Cammino Neocatecumenale nel Centro
internazionale Servo di Jahvè di Porto San
Giorgio, in provincia di Fermo, davanti a
un'opera in cui ha dipinto le principali tappe
delle vicende terrene di Gesù, dalla mangiatoia
di Betlemme alla tomba vuota, sigillo della
Risurrezione, oltre venti metri di storia sacra
che per tratto e per accostamenti cromatici
paiono un compendio della pittura occidentale,
da Giotto a Matisse e a Picasso.
-Povertà, abbrutimento morale, sostanziale
ignoranza di Dio: il Cammino Neocatecumenale
cominciò a prendere forma negli anni Sessanta
nella periferia più misera di Madrid. Cosa
spinse un borghese di buona famiglia come lei ad
andare a vivere in quel contesto?
«Nella mia vita ho avuto diversi incontri con il
Signore. Uno dei più importanti è stato quello
con la sofferenza degli innocenti. Avevo il mio
studio di pittore vicino a Plaza de Espana, a
Madrid. Il Natale ero solito festeggiarlo con i
miei genitori. Un anno, entrato in cucina, vidi
la donna di servizio dei miei che piangeva».
- Cos'era successo?
«Suo marito era un alcolista. Picchiava i figli.
Il più grande affrontava talvolta il padre con
un coltello. Aveva il terrore che si
uccidessero. Io non sapevo come aiutarla. "Venga
a parlare con mio marito", mi chiese. Andai e
rimasi colpito dal posto dove vivevano, un
sobborgo polveroso e sporco. Io, che mi ero già
avvicinato alla fede e alla Chiesa, ma ero
ancora tormentato da mille dubbi, l'accompagnai
dai Cursillos de cristiandad. Lui si stupì nel
vedermi parlare di Gesù Cristo. Accettò di
provare a smettere di bere, cosa che gli riuscì
per qualche mese. Poi, purtroppo, ricominciò.
Faceva lo spazzino. L'abitudine era di buttar
giù un bicchiere alla fine del turno. I
bicchieri diventavano però anche due, tre,
quattro... Quando tornava a casa ubriaco, era
violentissimo. Sua moglie allora mi chiamava. Io
ero l'unico che ascoltava. Non si poteva, però,
andare avanti così».
-Cosa decise di fare?
«Pensai che Dio mi stava chiedendo di stare con
quella famiglia aiutando lui a tenere il lavoro,
vincendo la schiavitù dell'alcol, e difendendo i
deboli di quella casa: quella don na e i suoi
figli. Ruppi gli indugi. La cucina era piena di
gatti. Miseria e degrado regnavano dentro e
fuori. Ero tormentato: perché quella gente
soffriva così tanto? Perché Dio permetteva quel
calvario? La mente e il cuore erano lacerati dai
concetti di coloro che, nel mio periodo
agnostico, consideravo maestri: Friedrich
Nietzsche, Albert Camus e Jean Paul Sartre».
- Cosa intende di preciso?
«Parafrasando Nietzsche si poteva affermare: "Se
Dio non vuole aiutarli è un mostro; se non può,
non esiste". Frasi velenose. Poteva Dio aiutare
quella donna oppure no? Perché non lo faceva?
Dio esiste? Alla fine lasciai perdere tutte
queste domande. Sa cosa vidi? In quella signora
ho visto Cristo, così come ho visto Cristo nella
donna con il Parkinson, abbandonata dal marito e
con un figlio pazzo, che lì vicino trascinava
una grama esistenza vivendo d'elemosina. Vidi il
mistero di Cristo che assume su di sé il dolore
del mondo e lo redime. La ricerca intellettuale
e filosofica di Dio mi avevano fatto arenare.
L'incontro con i poveri, gli emarginati, i
sofferenti; il progressivo svuotamento
interiore; te umiliazioni: fu allora che Dio si
manifestò. Ebbi l'intima certezza che esisteva.
Ed era amore. Restai enormemente sorpreso, lo
dico sinceramente. Ma mi sentii
contemporaneamente rasserenato. E libero. Se Dio
esiste, esisto anch'io. Poi mi chiamarono per il
servizio militare e mi mandarono in Africa».
- Ritornato a Madrid andò tra gli zingari...
«Un'assistente sociale mi indicò la zona di
Palomeras Altas dove, tra le altre, c'era una
baracca di tavole di legno. Mi disse: "Mettiti
lì". Mi sono trasferito con una Bibbia e la
chitarra. E lì, tra zingari, prostitute e
relitti umani ha avuto inizio un po' tutto. Era
il 1964. Nelle baracche io volevo vivere come
Charles de Foucauld, in contemplazione, in
adorazione di Gesù crocifisso negli ultimi.
Pensavo: se domani ritornasse Cristo, vorrei che
mi trovasse ai piedi degli innocenti crocifissi
dai peccati degli altri. Così me ne andai a
vivere tra i poveri».
- Non ha proseguito con i Cursillos de
Cristiandad. Non sì è fatto Piccolo fratello di
Charles de Foucauld. Ma ha dato inizio al
Cammino. Come mai?
«Devo molto a entrambe le esperienze. Mi pare di
poter dire che è Dio ad aver voluto che io -
insieme ad altri, soprattutto a Carmen Hernàndez,
che è stata molto importante per la sua
formazione teologica e missionaria - potessi
mettere a punto una nuova sintesi teologico
catechetica. I poveri ci hanno obbligato a
elaborare nuove forme di predicazione. Una
volta, un capo zingaro mi portò in una grotta
annerita dal fumo delle candele e del carbone
usati per far luce e per scaldare. Mi chiese di
parlare di Dio davanti a tanti altri zingari lì
convenuti. Io non mi sentivo degno, facevo
resistenza. Sua madre tagliò corto: "Ha mai
visto un morto tornare dal cimitero? Mia padre è
sotto terra, mio nonno anche. Lei ha visto
qualcuno tornare in vita? No? Allora io non
l'ascolto". Quella donna ha stimolato me e noi
tutti a riscopríre il kerigma, parola greca con
cui si indica il cuore del messaggio evangelico:
l'annuncio del Dio che si fa uomo, muore e
risorge per la nostra salvezza».
- Che cos'è il Cammino?
«È un'iniziazione cristiana. Di fronte a un
mondo completamente secolarizzato, che ha
smarrito Dio, occorre capire a fondo cosa voglia
dire credere. Il Cammino ha diverse tappe e può
durare anche trent'anni, il tempo che separa la
nascita di Gesù dall'inizio della sua
predicazione pubblica. Scende molto nel
concreto. Come si manifesta la natura divina che
abbiamo ricevuto in dono? Penseremo mica che
basti andare a Messa alla domenica o pregare di
tanto in tanto? Per esempio: come viviamo il
richìamo al perdono dei nemici e a non porre
resistenza al male? Tutto il Cammino si fonda
sulla parola di Dio, sulla liturgia e sulla
comunità, tre realtà indissolubilmente legate
che chiamiamo "tripode"».
- Ponete molta attenzione alle famiglie.
«È uno degli esempi più belli di relazione e di
amore. Oggi il Cammino conta 842 famiglie
partite missionarie nei vari Continenti, figli
al seguito, una cinquantina di esse è andata in
Cina».
-Anni fa alcuni hanno avanzato il dubbio che
ripeteste addirittura il Battesimo...
«No. È vero invece che approfondiamo i vari riti
che compongono il Battesimo affinché tutti siano
consapevoli di ciò che significa e di ciò che
comporta essere creature nuove nel Signore».
-Siete radicati in molte parrocchie. Qua e là
sorgono problemi...
«Noi offriamo la nostra esperienza pronti a
collaborare con i parroci che, tra l'altro,
sanno di poter contare sul nostro essere approdo
per molti non credenti, i cosiddetti "lontani".
Le incomprensioni, quando ci sono, spesso
nascono dalla non conoscenza di chi siamo e di
ciò che facciamo. Vale anche per quei vescovi
che ci osteggiano. La Chiesa, madre e maestra di
tutti, ci ha seguito e incoraggiato nelle
persone dei Papi degli ultimi decenni: Paolo VI,
Giovanni Paolo lI, Benedetto XVI».
- E con le altre realtà ecclesiali come va?
Collaborazione, competizione o scontro?
«Siamo in comunione con CI, l'Opus Dei e tante
altre forme di realtà comprese la Comunità di
Sant'Egidio e i Focolarini. Certo: se qualche
realtà cessa di avere come bussola Bibbia e
Magistero scegliendo altri punti di riferimento
più mondani o più politici non ci avrà al suo
fianco».
-L'arte: è una via o un ostacolo per arrivare a
Dio?
«L'arte è una manifestazione, un'espressione
dell'amore. L'arte è relazione. E rimanda alla
relazione su cui si fonda la Trinità. E la
Chiesa. Prendiamo esempio dalla creazione così
come ci viene presentata dal Libro del Siracide,
al capitolo 42: "Tutte le cose sono a due a due,
una di fronte all'altra, egli non ha fatto nulla
d'incompleto. L'una conferma i pregi dell'altra:
chi si sazierà di contemplare la sua gloria?".
Nella mia evoluzione personale sto cercando di
coniugare il più possibile la pittura
occidentale con quella orientale, affascinato da
quest'ultima che non ha prospettiva, non ha
punto focale, non calcola proporzioni, non si
presenta come una finestra dischiusa da cui
sbirciare il sacro, ma, come dire, comunica con
serena certezza una notizia: Dio c'è, si
presenta, eccolo».
-Come state vivendo l'Anno della fede?
«Affiancando l'attività ordinaria con eventi
speciali. Pensiamo di annunciare il Vangelo in
strada. Tra Pasqua e Pentecoste, solo a Roma lo
faremo in cento piazze».
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